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PERCHE’ IL TERMINE "TERAPIA" ?!

Aggiornamento: 11 apr


Il continuo dialogo e scambio di punti di vista che l’ambiente in cui mi trovo mi permette è fonte di costante ridefinizione e perfezionamento della mia direzione filosofica e professionale.


Quella che definisco come terapia della forza è un tentativo che possa riordinare il caos creativo che caratterizza ogni professionista innamorato di quello che fa.


Nella terapia della forza si nasconde un grande tentativo di ribaltare completamente il paradigma legato a come si definisce un corpo forte e come ci si dirige verso il rafforzamento.


La parola terapia, dal greco “therapeia” cioè cura, guarigione. Questa parola cerca di riportare il significato di forza del corpo alla sua origine più scientifica, più ambientale, più naturale e anche più morale e spirituale.


Il punto chiave per intendere come curare il proprio corpo in modo che sia forte verte sempre sui concetti di qualità e presenza opposti a quelli di quantità ed apparenza, questo doppio binomio contrastante è la sintesi più chiara e globale.


La parola terapia ci permette di comprendere che la direzionalità è la cura, la guarigione intesa come volontà di permettere al corpo di integrare, sintetizzare ed assorbire i traumi, gli stimoli, le influenze dell’ambiente esterno in modo efficace ed evolutivo, nel rispetto di un equilibrio che si può intuire ogni giorno con grande sforzo ed ascolto.


Ogni allenamento, ogni sforzo è un trauma, un danno, una stimolazione che deve essere processata. Il corpo, con la sua intelligenza, reagirà sempre, ma a volte, se lo stimolo sarà sproporzionato ed eccessivo dovrà “tradire” parte della sua funzionalità più essenziale per fare fronte a quel danno così importante.


L’arte che consiste nel causare un danno nella giusta misura, in modo che la reazione fisiologica dell’organismo non diventi iper-fisiologica è la terapia della forza, non una verità statica e definita, ma una forma di ricerca e di applicazione.


Definire questo campo d’azione all’interno del quale è meglio rimanere quando si vuole stimolare il proprio corpo è un viaggio scientifico ed esperienziale al tempo stesso, a tratti molto soggettivo.


La terapia della forza tenta di riportare il fuoco sull’essenza della fisiologia e funzionalità del corpo umano.


Voglio provare a chiarificare la portata rivoluzionaria di questo modo di intendere la forza con un esempio molto concreto.


Se parliamo di forza subito ci viene in mente lo strongman, oppure l’atleta specializzato in grado di sollevare moltissimo peso. Quindi ci auto-limitiamo ad un concetto di forza prestativa muscolare immediata. Tutto questo è molto fuorviante.


Poniamo il caso di un atleta in grado di eseguire uno squat completo (bacino sotto le ginocchia) con bilanciere con 160 kg sopra la schiena ed invece un altro che è in grado di sostenerne massimo la metà. Chi è il più forte? Sicuramente il primo? Se la vita fosse una gara di Crossfit si.


La realtà clinica, scientifica, esperienziale, logica e fattuale ci dice che è tranquillamente possibile che l’atleta con più capacità di prestazione nel back squat (160kg!) abbia sviluppato tale abilità al costo di destabilizzare l’integrità articolare e scheletrica. Questo avviene spesso compensando con una capacità muscolare di carattere temporaneo (legata alla possibilità di mantenere una determinata routine di allenamento per esempio).


In questo esempio ai fini della terapia della forza l’atleta più forte è quello che si è specializzato di meno, che non ha voluto sacrificare tanto quanto il suo amico e quindi si è orientato più verso una forza sistemica, verso una forza intesa come longevità e resilienza globale dell’organismo.


Detto questo, è evidente che non si vuole affermare che meno si solleva e meglio starà il corpo, si tratta invece di una attenta valutazione multifattoriale di come potenziare il corpo, con quali esercizi e perché, con quale finalità, con quale grado di specificità.


La terapia della forza rivoluziona il concetto di forza nella misura in cui l’apparente forza immediata viene guardata con sospetto, la prestazione sportiva non viene mai eguagliata alla prestazione dell’organismo globale nell’ambiente “mondo-vita” e infine essa diffida dalla tentazione di dominio della variabile quantitativa.


Cito per correttezza e con grande piacere due ricercatori da cui ho modo di apprendere sempre molto su questo tema, Gianluca de Benedictis e Giuseppe Tarulli.






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